LA PSICANALISI SECONDO
SCIACCHITANO

"TU PUOI SAPERE, SE FAI LA POLITICA DEL SAPERE"
creata il 6 luglio 2010 aggiornata il 25 giugno 2011

 

 

Wissenschaftlich bin ich übel daran. “Scientificamente sono messo male”.
Freud a Fliess, 27. 4. 1895.
Jetzt will ich nichts mehr davon wissen. “Adesso non ne voglio più sapere”
Freud a Fliess, 16. 8. 1895

Si può concepire una politica della psicanalisi?
Domanda sulla domanda: ha senso questa domanda?
Risposta alla metadomanda: la politica della psicanalisi ha senso di fatto, perché almeno una politica della psicanalisi esiste. È la politica della psicanalisi inventata da Freud, tuttora vigente nei modi, talvolta anche nei contenuti, proposti dalle istituzioni freudiane ortodosse. Di più. In quanto segue voglio dimostrare che la politica della psicanalisi deriva direttamente dalla concezione teorica della psicanalisi. Nel caso di Freud la cinghia di trasmissione dalla teoria alla pratica politica è particolarmente breve – come è giusto che sia, se è vero che la psicanalisi è un'attività intellettuale prima che una pratica empirica di guaritori. (I guaritori empirici, non avendo una propria teoria, possono solo concepire una politica aspecifica in forza della loro lobby). Di conseguenza, la connessione tra teoria e politica è in psicanalisi particolarmente evidente, direi addirittura esemplare. C’è una sola difficoltà che l'analisi di questa connessione presenta: la scelta della giusta metateoria in cui collocare la teoria psicanalitica in oggetto, da cui discende la particolare pratica politica.

La mia metateoria è molto semplice, ma non banale. Prevede due sole classi di teorie:

le dottrine e le teorie scientifiche.

Anche le proprietà caratteristiche delle due classi sono relativamente facili da individuare e da formulare.

Le dottrine sono teorie categoriche, le teorie scientifiche sono teorie congetturali.

Le prime sono dogmatiche e chiuse rispetto alle altre teorie. Ammettono solo se stesse e in una sola formulazione, quella ortodossa. Le seconde sono democratiche nel senso che ammettono più varianti, ciascuna compatibile con gli assiomi di partenza. Nella scienza si fa posto a differenze anche sostanziali, che possono portare a formulazioni non equivalenti (ma non tra loro contraddittorie). Per trattare questo argomento ritengo opportuno adottare un termine tecnico: quello di categorico, proposto da Oswald Veblen, direttore di Princeton nel lontano 1914. È categorica una teoria che ammette solo modelli (o realizzazioni o interpretazioni) equivalenti (o isomorfi). È non categorica una teoria che ammette modelli non equivalenti.

Le dottrine sono teorie categoriche in senso tecnico, a volte sono addirittura ipercategoriche nel senso che non ammettono neppure interpretazioni equivalenti, ma solo quella imposta come ortodossa dal fondatore dell’omonima scuola. Insomma, le teorie categoriche sono dogmatiche, una volta si diceva ideologiche: autoreferenziali e non confutabili, ultimamente religiose. Necessitano di muri come quello di Berlino per sopravvivere, evitando il confronto con teorie alternative.

Le teorie congetturali, invece, sono non categoriche in senso tecnico, nel senso, cioè, che ammettono varianti non equivalenti, tutte potenzialmente confutabili. Questa differenza teorica si traduce immediatamente in un semplice criterio di differenziazione tra le pratiche delle due classi di teorie. Gli operatori della prima classe – i dottrinari – procedono per conferme del Verbo. Gli operatori della seconda – gli scienziati – procedono per confutazioni dei verbi alternativi. Da una parte si verifica e si conferma, dall’altra si falsifica e si confuta.

È chiara, allora, la ragione politica per la quale i dottrinari procedono solo per conferme e rifiutano le confutazioni. Essendo per definizione unica, la dottrina può solo essere confermata – "suffragata", si dice quando è religiosa. Le teorie rivali o concorrenti non esistono neppure, perché sono eresie, senza diritto di cittadinanza. Gli eretici vanno bruciati. Hanno diritto di vivere solo gli ortodossi, i quali possono esprimersi solo e finché commentano indefinitamente la dottrina, senza cessare di confermarla. Il massimo di libertà concessa agli ortodossi è di interpretare la dottrina, purché l’interpretazione non porti fuori dal seminato. Esistono organi istituzionali, formati da metainterpreti, che controllano le interpretazioni emergenti e ne stabiliscono l'autenticità. Il risultato politico è netto e inequivocabile: la conferma della dottrina garantisce la conservazione del potere nelle mani di chi ce l'ha già. Nel minuscolo ma paradigmatico caso della psicanalisi le cose non vanno diversamente: grazie all'assetto dottrinario della teoria, in pratica il potere resta nelle mani dei presbiteri che governano le associazioni psicanalitiche.

Tutt'altro discorso a livello scientifico. Gli scienziati hanno meno vincoli. L’unico loro vincolo è la coerenza, che tuttavia è compatibile con formulazioni teoriche anche molto diverse. Oggi in fisica assistiamo allo spettacolo paradossale di teorie tanto diverse da essere le une controllabili empiricamente (il modello standard) e le altre (finora) non controllabili sperimentalmente (le teorie delle corde, delle brane, dei twistor), che convivono in un equilibrio instabile ma fecondo, che produce nuovi risultati da entrambe le parti, nell'attesa del giudizio finale sulla base dei miliardi di dati provenienti dal ciclopico LHC (Large Hadron Collider) del CERN di Ginevra.

Le differenze tra le due classi di teorie si ripercuotono anche a livello della formazione. Le dottrine non ammettono formazione, ma solo conformazione. Essendo il criterio di verità il principio di autorità (ipse dixit), l’allievo si forma conformandosi alla parola del maestro e, poiché non c’è altra parola, la conformazione è necessariamente unica – con piccole varianti negli angusti margini consentiti dall’interpretazione. Le scienze, invece, ammettono percorsi formativi diversi, difficilmente standardizzabili. A differenza di quel che avviene in campo dottrinario, in campo scientifico non esiste la formazione a priori "politicamente corretta". L’allievo apprende sì la teoria dominante, ma apprende anche in che modo potrebbe essere confutata e si addestra a confutarla. Il processo è molto istruttivo e intellettualmente stimolante. Infatti, la confutazione stessa potrebbe essere confutata. Sin dai primi passi l’apprendista stregone impara a distinguere tra impossibilità teorica e impotenza pratica. Un esperimento può dare un risultato negativo perché è impossibile che dia un risultato positivo o per imperizia dello sperimentatore. L’allievo deve per prima cosa imparare a riconoscere gli artefatti introdotti nel reale dalla propria tecnica, distinguendoli dal reale stesso. Per questa via la formazione del giovane scienziato non è mai garantita, a differenza di quella del giovane dottrinario, che è garantita, anche se può essere altrettanto lunga. Per formare un buon gesuita ci vogliono almeno vent’anni. Non molti di meno per formare un buon psicanalista (= non dottrinario).

All’interno di questo quadro epistemologico dove si colloca la teoria freudiana? tra le dottrine o tra le teorie scientifiche? (0) La risposta non è semplice e soprattutto non è univoca. Freud è al tempo stesso dottrinario e scienziato. Precisamente, esordì come uomo di scienza e finì – molto presto – come uomo di dottrina.
L’esordio scientifico di Freud, censurato sul nascere da Freud stesso, è testimoniato dal Progetto per una psicologia. Che è scientifico, perché confutabile e oggi di fatto è confutato. Il sistema nervoso non funziona per accumulo di cariche Qu-eta. Tuttavia, cosa resta della modellizzazione neurologica freudiana? Poco, ma qualcosa resta di sicuro, magari non a livello neuroscientifico ma psicanalitico. Nei termini della neurologia del suo tempo, Freud istituisce una netta contrapposizione tra memoria e coscienza. Dove c’è memoria non c’è coscienza, dove c’è coscienza non c’è memoria. Questa è una congettura confutabile, come lo è ogni congettura propriamente scientifica, che o si dimostra a partire da assiomi prestabiliti o si confuta mediante controesempi.  Forse anche per questo, per timore cioè di perdere la propria conquista intellettuale – l'inconscio – Freud blindò la propria intuizione scientifica all’interno di una dottrina inconfutabile, che chiamò metapsicologia. Così, già nel 1895, Freud passò dalla scienza alla dottrina, precisamente – come dimostreremo – passò da una scienza non ancora codificata a una dottrina medica, codificata da millenni, e non ne volle più sapere di scientificità. La resistenza alla scienza mieteva così un’altra vittima illustre.

Per procedere formuliamo la congettura freudiana principe – lo psichico è inconscio – in termini puramente epistemici, spogliandola dai caduchi travestimenti prima neurologici poi metapsicologici, che oggi portano i segni devastanti del tempo. Epistemicamente parlando, la congettura freudiana, che ora si chiama inconscio, è un sapere che non si sa di sapere ancora. (1) L’epistemologia, che questa congettura convoca, ha una forma logica temporale. Ma attenzione: il tempo di questa logica non è cronologico, ma epistemico! I processi psichici inconsci sono zeitlos, senza tempo, dichiara Freud in Al di là del principio di piacere (in Sigmund Freud gesammelte Werke, vol. 13, Fischer, Frankfurt a.M. 1999, p. 28). L’assenza di tempo cronologico fa spazio al tempo di sapere. L’inconscio è un sapere, che produce effetti soggettivi, come ogni sapere. Si chiamano sogni, lapsus, transfert. Ma il sapere inconscio è un sapere che al momento il soggetto non sa di sapere. Il soggetto verrà a sapere – sempre e solo parzialmente – il sapere che ignora di sapere solo grazie a un lavoro più o meno lungo di analisi sugli effetti soggettivi che lo riguardano. Il termine freudiano (anche questo scientifico) che descrive il processo di acquisizione del sapere inconscio è Nachträglichkeit, aposteriorità.
Ebbene, come riuscì Freud a rendere non avvenuta la propria intuizione scientifica? Nel modo a lui più familiare. Freud era medico. Usò la medicina, che non è scienza, per azzerare la scientificità della propria intuizione. La congettura dell'inconscio divenne, così, un dogma di fede della dottrina metapsicologica.

Ho appena affermato che la medicina non è scienza. Perché non è scienza? Perché è un discorso sulle cause, quindi – ben che vada – la medicina è conoscenza. Conosce le cause delle malattie – gli agenti patogeni – e le controcause, che contrastano gli effetti degli agenti patogeni – i farmaci. La medicina, come il diritto, è una variante del discorso del padrone. Lavora alla causa del padrone. Quindi convoca il classico (aristotelico) scire per causas. La scienza, invece, non fa un discorso intorno alle cause. Qual è la causa per cui pianeti sono quegli otto o nove? L’astronomia non lo sa e non vuole saperlo. Qual è la causa per cui la somma dei quadrati costruiti sui cateti di un triangolo rettangolo equivale al quadrato costruito sull’ipotenusa? La matematica né lo sa né si preoccupa di saperlo. Le basta dimostrare il teorema. Qual è la causa per cui nell’evoluzione biologica l’occhio è stato inventato tante volte, una volta addirittura in modo più efficiente delle altre – non nell’uomo, ma nell’Octopus? La biologia né lo sa e né si preoccupa di saperlo. La scienza è ignoranza sì, ma delle cause. (Per la differenza tra scienza e cononoscenza, un topos di questo sito, vedi il mio testo

Scienza e conoscenza).

Ma dove sono e come funzionano in Freud le cause? Le cause freudiane si chiamano pulsioni, die Triebe. E cosa sono? Le pulsioni non sono istinti. Letteralmente sono "spinte". Realmente sono le vecchie cause aristoteliche. In quanto tali producono un effetto epistemico ben preciso: fanno sloggiare dal campo freudiano (così lo chiamano i lacaniani) la scienza e al suo posto fanno tornare la conoscenza, aristotelicamente intesa come scire per causas. Freud inventa addirittura un sistema complesso di cause tra loro interagenti, che si chiama metapsicologia. (2) Nell’apparato psichico freudiano, che è rigidamente deterministico, (3) operano cause efficienti e cause finali. Le cause efficienti sono le pulsioni sessuali, che producono la soddisfazione sessuale, per altro sempre parziale, quando la producono. Le cause finali, unificate nella pulsione di morte, orientano tutto l’apparato psichico all’omeostasi energetica di livello più basso possibile. In parole povere, la pulsione di morte elimina le eccitazioni psichiche, smaltendo, attraverso la ripetizione dell’identico, l’energia traumatica in eccesso. Pretesa eziologica (ätiologische Anspruch) ed equiparazione eziologica (ätiologische Gleichung) sono termini ricorrenti della metapsicologia freudiana costruita sin dal lontano 1895 sul modello dell’eziopatogenesi morbosa. Le scene sessuali infantili producono l'isteria come il bacillo di Koch produce la tubercolosi. Nell’apparato psichico freudiano, le pulsioni, come le cause, agiscono di concerto, combinandosi tra di loro attraverso mescolamenti (Mischung) e smescolamenti (Entmischung). Tutto a partire da quel 1985 – l’anno stesso dell’Entwurf!– quando Freud pubblicò la sua Die Ätiologie der Hysterie dove, per ottenere credito scientifico e compiacere la comunità medica di Vienna, presentò la propria dottrina espressamente equiparando le scene sessuali infantili al bacillo di Koch. Come questo produce la tubercolosi, quelle producono le nevrosi. In seguito il posto del bacillo di Koch sarà preso dalle pulsioni o cause psichiche.

Successivamente il discorso eziologico freudiano si complica e si sdoppia. Si divide in due componenti, una qualitativa e l’altra quantitativa: da una parte, corrono le vicende della Vorstellungsräpresentanz (o rappresentante della rappresentazione) e, dall’altra, quelle dell’Affektbetrag (o ammontare affettivo), componente energetica della libido, potenziale responsabile dell’angoscia. Non entro nei dettagli di questi freudismi. Segnalo solo una potenziale incongruenza.

L’inconscio è un sapere che non si sa di sapere.

Ammesso questo, subito dopo Freud afferma che (grazie alla rimozione primaria e secondaria) nell’inconscio le pulsioni, cioè le cause, giocano liberamente associandosi tra di loro e scambiandosi i ruoli, per esempio attivo e passivo, indipendentemente da quanto ne viene a sapere la coscienza. Ma come fa a saperlo? Dice addirittura che ein Trieb kann nie Objekt des Bewusstsein werden, nur di Vorstellung, die ihn repräsentiert (“Una pulsione non può mai divenire oggetto della coscienza; lo può solo la rappresentazione che la rappresenta”. S. Freud, Das Unbewusste (1915), in Sigmund Freud gesammelte Werke, vol. 10, Fischer, Frankfurt a.M. 1999, p. 275). Gliel’ha detto l’uccellino o Freud fa un discorso puramente convenzionale, senza riferimenti reali? A favore dell’epistemologia convenzionalistica delle pulsioni Freud ha spezzato una lancia nell’incipit di Pulsioni e loro destini. Più tardi confermerà che le pulsioni sono i nostri miti. (4)

A questo punto chi ha aperto questa pagina mi obietterebbe: "Non intendevi parlare di politica della psicanalisi? Finora hai sprecato quasi 12.000 caratteri per parlare di teoria psicanalitica".

L’osservazione è quantitativamente giusta, ma qualitativamente non centra il bersaglio. Dalla teoria metapsicologica alla pratica politica della psicanalisi, come ho già detto, il passo è molto breve. Se la teoria è medica, la politica sarà quella della medicina, che tanta parte di ricchezza assorbe nei bilanci delle nostre regioni. È, infatti, una politica medica quella delineata in Per la storia del movimento psicanalitico (1914). Infatti, se la teoria è medica, il rapporto intersoggettivo è quello medico/malato. Il primo ha il sapere, quindi il potere; il secondo gli si sottomette in quanto inerme e ignorante (ma potenzialmente disobbediente e ribelle, come dimostra il contenzioso per malasanità). La corrispondente politica difende il rapporto terapeutico in tutte le sue varianti: dalla psicoterapia più dolce all'accanimento terapeutico più spinto. In questo contesto si promuove una sola politica: quella del più forte cioè una politica lobbystica. (5) Il principio è stabilito da Freud senza la minima ambiguità e con tutta l'arroganza del medico.

Die Analyse eignet sich aber nicht zum polemischen Gebrauche, sie setzt durchaus die Einwilligung des Analysierten und die Situation eines Überlegenen und eines Untergeordneten voraus. „La psicanalisi non si presta a usi polemici. Essa presuppone il benestare (Einwilligung – "consenso assoluto" nelle OSF, vol. 7, p. 422) dell’analizzante e la situazione da superiore a subordinato.” (S. Freud, „Zur Geschichte der psychoanalytische Bewegung“ (1914), in Sigmund Freud gesammelte Werke, vol. 10, Fischer, Frankfurt a.M. 1999, p. 93 – un testo decisamente infame, tanto che Mitscherlich non lo riportò nella Studienausgabe, l'edizione critica delle opere di Freud, purtroppo rimasta incompleta).

Di fronte a questo enunciato – formulazione in forma pura del discorso del padrone, come dimostra la traduzione OSF – se non si reagisce scandalizzandosi, si capisce il dramma interiore di Freud che, per difendere la “nuova scienza” della psicanalisi, andava cercando un Oberhaupt – un capo, meglio non ebreo – che subordinasse a sé gli psicanalisti ribelli e difendesse la dottrina ortodossa – una volta si diceva il depositum fidei ­– dagli attacchi di tutti gli eretici (Ketzer), di tutti gli oppositori infedeli (Gegner), nonché di tutti i detrattori ignoranti (Verleumder). Purtroppo, la politica paranoica, benché forse giustificata sul breve periodo, ha il fiato corto sul lungo. Lo vediamo in Italia, dove un presidente del consiglio, che vorrebbe governare l’Italia come il padrone governa l’azienda, da 15 anni a questa parte non fa altro che denunciare la presenza di nemici che complottano dappertutto contro di lui. Tra i giudici, tra i giornalisti, tra i suoi stessi ministri ci sono “comunisti” da imbavagliare e neutralizzare con leggi ad hoc. (6) Se si pensa che ai tempi del "compromesso storico" con i comunisti i vecchi democristiani sapevano collaborare con il nemico, per lo meno sottobanco, si ha una misura del degrado della politica italiana sviluppata – con grande consenso popolare, ovviamente – come paranoia.

Complice la paranoia postanalitica, Freud ottenne un risultato, se possibile, ancora peggiore di Berlusconi: un presidente della Società psicanalitica eretico. Si chiamava Jung. Agli occhi di uno storico moderno Jung si presenta come un autore con credenziali psicanalitiche meno mediche, forse più scientifiche, di quelle freudiane. Sulla politica freudiana della psicanalisi non c’è molto altro da aggiungere, se non che fu e continua a essere una politica per la diffusione e la salvaguardia di una pratica medica servile: la psicoterapia, che con la psicanalisi ha poco a che fare. Ergo, la politica freudiana NON fu e tuttora NON è una politica per la psicanalisi. Positivamente è la politica conservatrice della lobby degli psicanalisti freudiani sedicenti ortodossi.

Con questo elementare sillogismo siamo finalmente arrivati al nocciolo della questione. Si possono inventare altre pratiche politiche – non mediche e non lobbystiche – per la psicanalisi? In teoria sì, in pratica è molto, ma molto difficile. La storia del movimento psicanalitico ha dimostrato che finora è impossibile.

La soluzione teorica è molto semplice. Se la psicanalisi è una scienza, la politica adeguata alla psicanalisi è quella che si confà alla scienza. Il punto debole del mio “lungo ragionamento” è tutto qui. È difficile realizzare una politica AUTONOMA per la scienza. Le ragioni sono strutturali. Tra le molte segnalo quella che a me sembra la principale. Se è giusta la mia presupposizione, che la scienza non sia una pratica dottrinaria ma congetturale, INEVITABILMENTE il legame sociale instaurato dalla scienza è provvisorio: dura fino alla confutazione della congettura. Quando la teoria delle brane riceverà una qualche conferma sperimentale, cesserà di essere una teoria solo matematica (e bella) e fonderà una comunità di fisici che dovrà accogliere i sostenitori dei campi quantistici unificati, rimasti senza teoria. Ma quella comunità avrà vita breve – si spera. Durerà fino alla prossima innovazione teorica. Quindi, una politica basata su un legame sociale debole, come quello scientifico, è perdente rispetto a politiche basate su legami sociali forti, stabili e duraturi come quelli che si istituiscono per identificazione a un capo o a un maestro di dottrina. La politica a cui può aspirare il Denkkollectiv scientifico è solo una politica da protettorato. Il potere forte può – forse perché gli conviene – proteggere la scienza, da cui ricava vantaggi tecnologici. Certo, la protezione può da subito trasformarsi in corruzione, come la storia del colonialismo ampiamente dimostra. Allora, lo scienziato iscritto nel libro paga del padrone diventa un tecnocrate. Non è grave, se non per la ricaduta negativa di immagine. Ecco, allora, la scienza diventare tecnoscienza venduta al capitale – luogo comune contro cui si appuntano gli strali della resistenza alla scienza di marca fenomenologica (già di marca marxista).
In questo contesto la psicanalisi cerca asilo, sapendo di non averne diritto. La psicanalisi chiede asilo, così ho intitolato un testo, di prossima pubblicazione su "Communitas", che commemora un grande psicanalista italiano del recente passato, dotato di un fiuto animalesco per la giusta politica della psicanalisi, non ricalcata sullo stampo della vaticana propaganda fide. Si chiamava Elvio Fachinelli, alla cui azione politica tutta questa pagina è ispirata. 

E Lacan?

Non dimentico Lacan. Dal punto di vista della politica della psicanalisi su Lacan c’è molto poco da dire. Il suo fu un vero e proprio ritorno a Freud. Lacan ritornò a quanto di peggio Freud poté esprimere: la politica del (falso) maestro. Dichiaro pubblicamente che non bevo la storiella messa in circolazione da Lacan e amplificata dai suoi presbiteri, secondo la quale , una volta decaduto dal ruolo di analista didatta della Società francese di Psicanalisi nel dicembre 1963, a Lacan non sarebbe stato concesso di “sollevare, come era suo intento, il velo con cui Freud aveva ricoperto la vera risorsa della psicanalisi”. (J. Lacan, Dei Nomi del Padre, (2005) a cura di J.-A. Miller, trad. A. Di Ciaccia, Einaudi, Torino 2006 p. 4.) La vera risorsa della psicanalisi è l'ipnosi, che non fu mai completamente abbandonata da Freud, nonostante le dichiarazioni in contrario. (La negazione freudiana non sempre nega! (7)) Abbandonando la scienza, Freud ricadeva AUTOMATICAMENTE nell'ipnosi. Dove c'è dottrina, il pensiero è ipso facto ipnotizzato dal maestro. Lacan vide molto bene le risorse ipnotiche messe in campo da Freud e le utilizzò a proprio vantaggio in modo non meno  bieco di Freud, ponendosi a capo della Ecole freudienne de Paris.

In chiusura segnalo il problema simmetrico rispetto a quello del maestro, e quantitativamente più rilevante, cioè quello dei discenti. A quale politica della psicanalisi può aderire oggi un giovane che voglia intraprendere la carriera della formazione psicanalitica? I modelli vigenti, sostanzialmente tutti freudiani sia nell’impianto dottrinario, anche quando sono eretici, sia nella pratica politica, anche quando sono ideologicamente antifreudiani, sono semplici da seguire. Il giovane sceglie una scuola, dove gli si propone un certo curriculum alla fine del quale consegue un diploma o… cambia scuola. Formazione dottrinaria ed eresia vanno di pari passo. È un gioco collettivo che funziona. Quel che non sembra funzionare socialmente è l’istituzione di comunità psicanalitiche scientifiche. Non possono neppure proporsi come tali perché sarebbero provvisorie, fondate su teorie potenzialmente destituibili, cioè falsificabili. In quanto provvisorie, le comunità che praticano un legame sociale epistemico non darebbero garanzie per il futuro professionale dei giovani. Come pensare che un giovane bussi alla loro porta per chiedere un'analisi? Le sirene delle dottrine incontrovertibili ed eterne hanno più fascino dell’umile pratica scientifica, esposta sin dall’inizio alla destituzione. Per aderire a una comunità epistemica provvisoria, esposta ai quattro venti della ricerca, che possono prima o poi spazzarla via, ci vuole un coraggio intellettuale fuori dal comune. (8) Intanto come sopravvive il giovane? Primum vivere, deinde philosophari. Ben tornato Aristotele!
Purtroppo non ho miglior consiglio da dare ai giovani che quello dello stesso Lacan: chi vuol diventare analista si cerchi un secondo lavoro. Come i poeti e gli artisti. E poi eviti le scuole. Come gli artisti e i poeti.

*

Concludo con una considerazione di sociologia della conoscenza.

Nella lettura che ne fa Ludwik Fleck (cfr. La scienza come collettivo di pensiero, Melquiades, Milano 2009 , ma anche Genesi e sviluppo di un fatto scientifico. Per una teoria dello stile di pensiero e del collettivo di pensiero (1935), trad. di M. Leonardi e S. Poggi, Il Mulino, Bologna 1983) e in questo sito Il problema della teoria della conoscenza), il fenomeno scientifico è un fatto collettivo. Esso rientra nel giro di pensieri che circolano nella comunità, che per ciò stesso si chiama scientifica. Se, invece, nella comunità non circolano pensieri, perché il pensiero piove dall’alto attraverso l’insegnamento magistrale, che rivela la dottrina, e arrivato a terra si ferma e ristagna, in quella comunità non potranno MAI prodursi fatti scientifici. È quello che succede nelle scuole di psicanalisi, che sono comunità dottrinarie, fondate da un maestro, il più delle volte fuoruscito per eresia da un’altra scuola. Nelle comunità psicanalitiche il pensiero non circola ma piove dall'alto e viene raccolto in cisterne chiuse che prima o poi imputridiscono. La dottrina risulta presto imbevibile.

In realtà, nella comunità dottrinaria avviene una parvenza di circolazione di pensiero. Ma si tratta di scambi di pensieri identici, realizzati attraverso commenti ripetitivi della dottrina, che non ammettono confutazioni, essendo ogni pensante identificato al maestro. (L’identità è inconfutabile, pena la condanna per eresia e la conseguente scomunica). La novità è, quindi, preclusa dalla comunità dottrinaria, che per ciò stesso non sarà MAI scientifica. Se poi si ammette che la verità sia novità, si può dire che è la comunità dottrinaria a fuorcludere la verità, contro la dissennata (fenomenologica) tesi lacaniana che sarebbe la scienza a fuorcludere la verità.

Quale politica per la scienza della psicanalisi, allora?

Ammesso che una scienza della psicanalisi esista, la sua politica andrà condotta in nome della libertà di pensiero. Con una precisazione essenziale: il pensiero della psicanalisi non è quello individualistico dei "liberi pensatori" – o libertini – che andavano di moda nel secolo dei lumi. Il pensiero psicanalitico è un pensiero originariamente collettivo e da subito orientato all'azione politica – all'atto analitico, si dice nel gergo lacaniano. Comincia a collettivizzarsi a due nell'analisi personale. Si collettivizza a tre nell'analisi di controllo. Si tratta di non arrestare questo processo naturale di collettivizzazione, angustiandolo con prescrizioni e regole dogmatiche, imposte dall'esterno. Lo scienziato, come l'isterico e forse con più efficacia di lui, tende a dire di no. La scienza si basa su congetture teoriche e confutazioni mediante controesempi pratici. La politica della scienza pretende lasciare spazio alla teoria e alla pratica: alle libere congetture e alle necessarie confutazioni. Gli psicanalisti che rimangono ancorati a una politica dottrinaria, restando chiusi nelle proprie scuole al riparo dal libero confronto e dalla libera critica da parte di altri psicanalisti, esprimono solo la grande volontà di ignoranza che li abita.

Riassumendo propongo una psicanalisi scientifica, quindi liberale.

Chiarisco in che senso nel testo che ha fatto una breve apparizione nel sito del manifesto per la difesa della psicanalisi nel maggio 2011:

Quale politica per gli psicanalisti?

Torniamo indietro di qualche secolo. Nel 1615 Galilei scriveva a Cristina di Lorena:

"Pare che quello degli effetti naturali che o la sensata esperienza ci pone davanti agli occhi o le necessarie dimostrazioni (corsivo nostro) ci concludono, non debba in nessun conto essere revocato in dubbio, non che condennato."

18 anni più tardi la Curia di Roma condannerà Galilei all'abiura. Era inevitabile. La dottrina non sa congetturare. Tanto meno sa confutare. Sa solo, come in tribunale, o assolvere o condannare. La ragione è semplice. Infatti, per l'atteggiamento dottrinario l'uomo che ricerca è potenzialmente reo di lesa maestà della dottrina. La politica della condanna è, quindi, necessariamente antiscientifica. Ci auguriamo che per la psicanalisi si inauguri prossimamente una politica diversa: la politica della congettura sensata e della confutazione necessaria, che presuppone un legame sociale diverso da quello di identificazione al maestro – io lo chiamo legame epistemico, basato sulla supposizione di sapere nell'altro. Chissà che allora la psicanalisi non esca dalla malattia infantile del dottrinarismo – infantilismo che dura ormai da più di un secolo. Chissà che allora la psicanalisi non cessi di vendersi alla psicoterapia del padrone (genitivo oggettivo e soggettivo) per dedicarsi alla cura della scienza.

Ci riuscirà? Segnalo un sintomo certo dell'avvenuta transizione, se mai avverrà. Quando gli psicanalisti avranno abbandonato considerazioni aprioristiche sulla correttezza della pratica clinica, giustificate in nome dell'applicazione di qualche dottrina imposta dalla tradizione, allora – e solo allora – saremo sicuri di trovarci di fronte a qualcosa di nuovo, forse di scientifico, anche in psicanalisi.

E concludo veramente con un dettaglio autobiografico. Quando ero giovane, sulla scena politica provinciale dell'Italietta campeggiavano due contendenti: i comunisti e i democristiani, Peppone e don Camillo. Poiché dopo i governi di centrosinistra i due contendenti contendevano poco e si mimetizzavano, era necessario riconoscere l'interlocutore che si aveva di fronte: era democristiano o comunista? Ai tempi sviluppai un test che mi tornò utile in più di un'occasione. Parla di correttezza (criterio sintattico)? Allora è comunista. Parla di validità (criterio semantico)? Allora è democristiano.

Forse è tempo di ritornare al criterio semantico per una politica della concretezza.

Note

(0) Mi dispiace proprio che il lettore tedesco, che legga il mio italiano, stenti a cogliere la differenza tra "dottrina" e "scienza". Per lui c'è un solo termine, Lehre. Lehre deriva da lehren, insegnare. Giustamente sia la dottrina sia la teoria si insegnano, ma c'è una profonda differenza tra dottrina e teoria scientifica. La dottrina si insegna attraverso il libro sacro. Per apprendere una teoria scientifica occorre anche una pratica di laboratorio, dove si mettono alla prova in pratica i costrutti teorici. (Torna su)

(1) La neurologia può dare modelli di inconscio in termini di neuroni e sinapsi (quasi tutti sanno di cosa parlo, gli altri possono parzialmente documentarsi su Joseph Le Doux, Il Sé sinaptico, trad. M. Longoni e A. Ranieri, Cortina, Milano 2002), ma qualsiasi modello neurologico dell’inconscio NON è l’inconscio, bensì solo una sua interpretazione o realizzazione. (Torna su)

(2) Scientificamente parlando, le cause sono interazioni di componenti materiali che si scambiano energia tra loro. (Torna su)

(3) Tanto dovrebbe bastare a classificare l’apparato psichico freudiano come costruzione non scientifica. Un costrutto che non faccia in qualche modo giocare la probabilità ha oggi poche probabilità di passare per scientifico. Curiosamente, la nozione di probabilità, tuttora intesa aristotelicamente come preterintenzionalità, e non come calcolo di un volume o di un’area di sapere incerti, è il nucleo patogeno della più diffusa e più popolare resistenza alla scienza. Ancora oggi, la televisione segnala i numeri ritardatari all’estrazione del lotto, come se nell’urna ci fosse un homunculus, il quale dimenticherebbe di estrarre certi numeri e favorirebbe l’uscita di certi altri. In questo senso la metapsicologia freudiana, con tutto il suo iperdeterminismo, è una teoria omuncolare. Presuppone che gli homunculi psichici siano almeno tre (Io, Es e Super-Io) in perenne conflitto territoriale tra loro. L’astrologia, forse più deterministica e meno confutabile della metapsicologia freudiana, è certamente più di questa vicina alla scienza. Infatti, l’astrologia non è una dottrina omuncolare. A proposito di determinismo va detto che in epoca scientifica il determinismo è relegato nella narrazione romanzesca, dove la linearità del racconto tiene il posto della necessità della ragione sufficiente. Non a caso il proliferare di romanzi è sincronizzato con l'avvento del discorso scientifico nel momento in cui questo abbandona lo scire per causas per passare allo scire per theoremata. Meravigliandosi di scrivere casi clinici, privi del marchio della scientificità, che si leggono come novelle, Freud non capisce che il fenomeno è determinato dal suo determinismo. Oggi anche il romanzo non è più deterministico. Il determinismo è praticamente confinato alla fantascienza. Vedi la vicenda della psicostoria nella trilogia della Fondazione di Asimov. (Torna su)

(4) I maestri della psicanalisi sembrano inclini a formulare enunciati che si autoconfutano. Lacan va famoso per l’enunciato: Non esiste metalinguaggio, che è un enunciato metalinguistico. Forse che la psicanalisi autorizza a sbarazzarsi della logica? Era il non tanto segreto desiderio di Freud, che nell’Abriss dichiara esplicitamente che l’inconscio è il regno dell’illogica (Unlogik, GW, vol. 17, p. 91.) (Torna su)

(5) La politica del più forte non è la meno problematica. Nei confronti della medicina la società ha sempre mantenuto un atteggiamento ambivalente: il medico è considerato contemporaneamente sacerdote e assassino. Le cause per malasanità sono talmente aumentate di numero che oggi ogni chirurgo è costretto a tutelarsi con un’assicurazione professionale. (Torna su)

(6) Non si tiene mai abbastanza presente che il berlusconismo italiano è figlio del socialismo italiano che, per ragioni complesse che qui non posso analizzare, fu nemico del partito comunista più della stessa democrazia cristiana e della Chiesa cattolica. (Torna su)

(7) Questa è una premessa non solo freudiana, ma di logica intuizionista. Brouwer dimostra che per essere sicuri di negare una volta bisogna negare tre volte (come sapeva anche l'apostolo Pietro): l'assurdo dell'assurdo dell'assurdo è assurdo. (Torna su)

(8) Otto anni fa, al congresso di Milano sul Legame sociale tra psicanalisti del 2002, ebbi l’ingenuità di proporre agli analisti intervenuti al convegno di associarsi in base a un legame sociale di tipo epistemico. Giustificavo la proposta in base al fatto che tale legame sarebbe stato isomorfo al legame tra analista e analizzante durante il rapporto analitico. Il mio intervento, intitolato Pensiamo, dunque sono, conserva tuttora per me il valore di riferimento ideale, che orienta tutta la mia riflessione politica. L’ideale si infrange, però, sulla roccia della volontà collettiva di ignoranza. Inesorabilmente arriva un momento in cui ogni analista, come Freud a metà stesura del Progetto, esclama: Davon will ich nichts mehr wissen! “Basta, non ne voglio più sapere di sapere!”.

Se vogliamo dire così, il legame sociale epistemico tra psicanalisti è il progetto politico del dott. Sciacchitano. Per meglio orientare il potenziale lettore dichiaro che mi muovo nell'ambito delle teorie liberali dello scambio personale (entro comunità) e impersonale (entro mercati), privilegiando lo scambio sapere/ignoranza. I miei riferimenti sono ai filosofi scozzesi, soprattutto Smith e Hume, con un tocco di Mandeville (La favola delle api) e molto di von Hayek e von Mises. Per saperne di più rimando alla bibbia di Vernon Smith, Nobel per l'economia nel 2002: "La razionalità nell'economia" (2008), trad. G. Barile, IBL libri, Torino 2010. (Torna su)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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